Questo percorso propone, allo stesso tempo, di abbassare il nostro "volume relativo" e di praticare l'ascolto come condicio sine qua non, come metodo, per la scoperta di noi stessi e degli altri. La comunicazione porta con sé questa necessità e il silenzio assume proprio in questo orizzonte un ruolo paradossalmente centrale.
In una "civiltà del rumore", imparare a comprendere e a gestire i codici della comunicazione - a qualsiasi livello - significa prima di tutto essere in grado di arrestarne il flusso, di vagliarne fino in fondo la materia. Chi vuole comprendere il senso del comunicare, deve quindi sperimentarne l'assenza e rendersi conto di ciò che resta.
Il silenzio, in quest'ottica non è una via trascendentale o nichilista, ma una pratica attiva di ricerca e comprensione dell'alterità. Partiamo da due esempi fondanti, in Occidente, di questo "silenzio attivo".
John Cage • 4'33" (1952)
"Penso che forse il mio pezzo migliore, o almeno quello che mi piace di più, si il "pezzo silenzioso" (4'33'', 1952).
E' composto da tre movimenti, e in ognuno di essi non ci sono suoni. Volevo che il mio lavoro non fosse condizionato dai miei gusti personali, perché penso che la musica debba essere indipendente dai sentimenti e dalle idee del compositore. Sentivo e speravo di poter condurre altre persone alla consapevolezza che i suoni dell'ambiente in cui vivono rappresentano una musica molto più interessante rispetto a quella che potrebbero ascoltare a un concerto.
Nessuno colse il significato. Il silenzio non esiste. Ciò che pensavano fosse silenzio si rivelava pieno di suoni accidentali, dal momento che non sapevano come ascoltare. Durante il primo movimento [della prima esecuzione assoluta. ndr] si poteva sentire il vento che soffiava fuori. Nel secondo, delle gocce di pioggia cominciarono a tamburellare sul soffitto, e durante il terzo, infine, fu il pubblico stesso a produrre tutta una serie di suoni interessanti, quando alcuni parlavano oppure se ne andavano. La gente cominciò a bisbigliare, e alcuni cominciarono a uscire. Nessuno rise, si irritarono quando si accorsero che non sarebbe accaduto nulla, e di sicuro dopo trent'anni non l'hanno ancora dimenticato: sono ancora arrabbiati.
[...] Di fatto ciò che mi spinse a farlo non fu il coraggio, ma l'esempio di Robert Rauschenberg. I suoi "white paintings". Non appena li vidi, dissi "si, devo farlo; altrimenti rimango indietro, altrimenti la musica rimarrà indietro" • John Cage
Bob Rauschenberg • white paintings (1951)
impariamo a perderci • download prescrizioni
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento