mercoledì 23 aprile 2008

Deriva02 • Stefano Vittori

Tra le diverse possibilità per scegliere un punto su una mappa ho scelto la decisione computazionale, in quanto è il sistema più rigido, automatico e randomico. Qui sotto c'è la piccola applicazione in flash che ho realizzato per il sito.



Le coordinate che ho ottenuto per la mia deriva sono: 30 | D3 | B3.
Esse corrispondono ad un punto sul viadotto ferroviario Pietro Nenni.
Questo ponte prende il nome da un politico socialista che nel 1946 contribuì alla nascita della Repubblica Italiana. Venne costruito nel 1972 a servizio della linea metropolitana, ha una struttura in cemento armato, ed è lungo 121 m e largo 25 m.
Giunto in questo luogo, visto lo svilupparsi su due livelli, ho deciso di scendere al di sotto del ponte per essere al livello più basso della città.
In prossimità del ponte si trova lo Scalo De Pinedo esso fu costruito nel 1900, prende il nome dal trasvolatore dell'Atlantico che ammarò con il suo idrovolante in questo tratto di fiume nel 1925, al termine di un raid aereo che lo aveva portato in Australia e Giappone. Attraversando lo scalo, che di giorno diventa un enorme parcheggio abusivo, e costeggiando per un breve tratto il muraglione giungo a destinazione.
Camminando piano riesco a cogliere il passo esatto che modifica la visione del ambiente circostante: un attimo prima c’è Roma con i suoi clacson, le macchine, la confusione, il vociare delle persone; un attimo dopo come varcando una soglia mi ritrovo in un altro luogo. Un luogo strano e misterioso, silenzioso. Di colpo mi accorgo di essere in uno di quelli che Marc Augè definisce i “nonluoghi”, ovvero quegli spazi che hanno la prerogativa di non essere identitari, relazionali e storici, spazi in cui molte individualità si incrociano senza entrare in relazione.
Vago in questa “bolla” per esplorarne il contenuto. Ci sono alcuni argani, zattere e stabilimenti galleggianti presumibilmente abbandonati. Scatto le quattro foto. Nord, sud, ovest, est.



Mi guardo intorno e cerco di cogliere tracce del passaggio di persone, tutto è molto sedimentato e inafferrabile, l’unica traccia chiara sono i graffiti sugli argini, anche se autoreferenziali c’è in loro qualcosa di affascinante, di sfuggente. Risultano in quel luogo come affreschi in una caverna primitiva.
Decido consapevolmente di non prendere nulla da questo luogo, proprio per non violare la sua natura di “nonluogo”, scelgo però di documentare la montagna di dettagli che ne costituiscono l’anima. Scatto foto di cime, imbarcazioni, ingranaggi, transenne, ciottoli. Qui sotto ne potete vedere la maggior parte.



Scattando una foto all’altra sponda, mi accorgo improvvisamente di una cosa strana: c’è una striscia di terreno, compresa fra il fondo del ponte e l’inizio del muraglione. E’ abitata.
Essa non è raggiungibile dall’esterno se non con l’ausilio di mezzi meccanici, corde, scale. Mi sembra di aver scoperto una sorta di “secret area”, una porzione della città che è parte di essa ma che è invalicabile. Un buco nero.

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