Esistono luoghi che collegano il passato al futuro.
Esistono luoghi immortali.
Esistono simboli di una generazione senza tempo.
Dove tutto si fonde e lascia noi, spettatori smarriti, attoniti ad ammirare la scena.
Ha l'andatura di chi fa la stessa strada tutti i giorni, ogni volta, da anni.
Quei passi monotoni, per nulla curiosi, lo spingono verso la solita meta, dove ad accompagnarlo ci sono sempre il solito zainetto nero e quel giacchetto bianco pulito, che sa di chi tiene ordine nella propria vita e uniformità.
Lo pordiamo perché è li che deve andare, e noi dobbiamo ancora imparare a perderci.
Non si guarda più intorno e non sa cosa si perde.
Lancia uno sguardo furtivo prima di entrare in quel covo di noia e dovere, e lo fa all'indirizzo di uno sconosciuto, uno come tante, come era anche lui in qualche viaggio del passato, in terre lontane e dove valeva realmente la pena guardare in alto, invece che i propri piedi.
Parliamo del caos e del disorientamento: il primo passo verso lo smarrimento.
Più volte si guarda attorno e una di queste lo spinge a voltare a destra e poi tornare indietro, sui propri passi.
Un nodo intricato di strade, lontano dal versosimilmente da quello che lo lega alla sua terra, una città di molto più semplice e giovane, di questa del nostro Impero.
Ci sfila davanti e quesi non ce ne accorgiamo, risentiamo del suo spirito e nonostante questa sia terra nostra, già forse non ci appartiene più.
Seguiamo il suo vagare senza apparente controllo, due volte ripercorriamo i nostri stessi passi.
Le ultime occhiate di qua e là e finalmente si decide: dietro una vetrina c'è il suo presente, quello che farà da lì ad un momento, per qualche ora, giusto il tempo di schiarirsi le idee e potersi affermare come persona, in un mondo di individui tutti uguali.
Dietro un piatto di bucatini contempla la sua esperienza e si tormenta perché forse in questa Roma non riesce a sentire, a provare, ad innamorarsi del fascino di un mito sempiterno e sapiente.
Preferisce stare dietro le mura di una trattoria, che sulla sabbia del Colosseo.
Punto di vista.
Povero sprovveduto: la paste che c'è qui può trovarla ovunque, la storia.. appena sui libri.
Ricordiamo di averla vista di sfuggita e che, a catturare la nostra attenzione, è stata propria la sua anonimità, il suo essere una donna con uno zaino sulle spalle, con un giaccone grigio, con i capelli fino alle spalle legati da un elastico nero e uno sguardo perennemente portato a terra, dove non fanno che i rincorrersi i sanpietrini.
Lei però percorre una strada ambigua, trasversale, per non tagliare compie una serie di svolte, prima a destra, poi a sinistra: quasi la perdiamo.
Torna sulla strada principale ed allora ci accorgiamo del perché quell'attesa, quel momento di raffinata suspance.
Rimane immota a mirare una finestra al secondo piano di un palazzo come tanti, per due, dieci, trenta secondi, poi riparte e corre via verso la fermata dell'autobus.
E la perdiamo.
Interseca la nostra strada, dovremmo seguirlo, eppure non lo facciamo e guardiamo altrove, perché forse è un soggetto troppo distante da quell'ambizione che abbiamo di perderci, senza l'ausilio delle scelte, ma solo grazie alle strade che intacchiamo.
Un percorso che unisce due o più punti, oppure nessuno.
Avremmo inizio a giocare con la sua personalità, abbandonando lo scopo del gioco e tutto sarebbe stato vano.
Come quel signore con l'impermeabile bianco che fuma una sigaretta tranquillo e senza fretta.
Le due turiste sulla sinistra, tra tutti è normale che spicchi lui, ma noi guardiamo avanti, o meglio poniamo la nostra attenzione su ciò che è usuale e non che non ci distrae, perché è altro quello a cui noi miriamo. Oggi.
Un prete accompagnato da tre persone. Noi fissiamo lui e lui cammina, sappiamo che ci porterà lontano, porterà a scoprire luoghi nascosti. O meglio speriamo. Ha una falcata rapida, fa quasi tremare la terra, che qui, sotto i nostri piedi, non è poi così salda.
Abbiamo alla nostra destra e sinistra palazzi imponenti e noi così piccoli ne siamo intimoriti.
Poi però ci ricordiamo d'esser stati a giocare con loro, a costruirli pezzo su pezzo, in un intrattenimento che istanti, ma anni.
Ha un atteggiamento che mira più all'alto che al basso, un maglioncino viola, pochi capelli, un paio di occhiali e un libro in mano, una tracolla sull'altra spalla.
Svoltiamo a destra, poi subito a sinistra, è deciso e fermo, e s'assicura quasi di prender la giusta via, mira i cartelli e segue ciò che i suoi compagni suggeriscono in una lingua che non comprendiamo.
Lontana dalla nostra.
Arriva in un palazzo, lo perdiamo, ma delle urla ci raggiungono e ci scuotono dal torpore.
Credere o non credere? E' un fatto tutto vostro.
Cosa fai quando anche lo spazio ti abbandona? Quando l’ordine delle cose si infrange e ti nasconde la via? Questo cartello è la risposta: ti perdi. Una direzione era a noi suggerita, una direzione che però allo stesso tempo ci è negata. Dall’evidenza. Dobbiamo trovare una nuova persona per uscire da questa situazione, non possiamo rimanere qui fermi ad aspettare noi stessi, quella parte della coscienza che ci scorta quando anche la ragione non trova appiglio sul filo teso da due dita divine.
Potremmo allacciarci a quel simbolo “II”, ma sarebbe sufficiente a risolvere i nostri problemi? E quella porta in basso? E’ buia nel suo retro. Ci voltiamo, finalmente una coppia. Sorridete, siamo di nuovo in corsa.
Seguiamo loro, che sono turisti nell’ora di punta, in giro per Roma: la città più bella del mondo.
Molte strade diverse ci fanno percorrere, alcune a noi stessi ignote, l’asfalto è sempre uguale sotto i nostri piedi, i sanpietrini consumati dal tempo si avvicendano l’uno con l’altro, i colori degli intonaci delle pareti degli edifici sviluppano intrecci cromatici di rilievo e quei due continuano ad incedere, mano nella mano, come in una selva in cui sono più prede che cacciatori.
Ci incuriosisce questa via, ma la ignoriamo, perché vogliamo perderci e per farlo ci occorre chi di natura, il turista, lo fa senza paura e senza timore.
Davanti alla Gregoriana piombiamo e loro insicuri si spingono a destra, e poi tornano sui loro passi e noi con loro.
Un gioco prospettico che ci incanta, sia nella sua andata, che al suo ritorno, perché ambivalente e costruito per essere tale.
C’è sicuramente più da osservare che da scrivere in questo tempo che rimane alla nostra scadenza.
Il sole è alto, ma si nasconde: i due turisti continuano il loro viaggio culturale e scambiano versi in una lingua diversa dalla nostra.
La curiosità ci rende partecipi quando lei si toglie una scarpa per massaggiarsi la pianta. A noi non resta che girare per la zona ed attendere la ripresa del pellegrinaggio senza meta.
Hanno un buon passo, ma il nostro è più lesto e attento.
Passiamo sotto i ponti e ci ritroviamo di nuovo all’aperto dove auto e moto sfrecciano sull’asfalto rovente di Roma.
Svoltano a destra e per noi è quasi salvezza, dai rumori, dall’inquinamento, dalla rigidità di schemi predisposti, ma invisibili.
Una scalinata si palesa davanti a noi, alle sue pendici una fontana curiosa con quattro bocche da cui a getto continuo e fresco acqua di Roma, perfetta dunque, esce copiosa.
Loro si idratano, noi ci idratiamo.
Basta un secondo che..
..li perdiamo.
Entrano per mangiare, e sarebbe anche ora per noi di farlo. Anonimi erano stati, puntini in movimento per le strade di una città, finché l’istinto alla “sopravvivenza” li vince e li conduce dove a loro è più caro: un pub irlandese.
Le loro origini sono, dunque, svelate.
Avanti il prossimo.
Seguiamo una cicatrice, o meglio un uomo con un maglione arancio, con una borsa di pelle marrone, una giacca portata sotto il braccio beige e, appunto, una cicatrice.
E’ curiosa, ma per noi che siamo qui e per voi che vivete la nostra vicenda, quest’ultima parte del viaggio sarà forse la più scontata, ma senza dubbio la più riflessiva. Perché siamo agli sgoccioli.
Avanza, avanza, avanza e poi.. si ferma. Più e più volte rimane a fissare l’interno di vetrine. E una è proprio questa. Cravatte: forse per nascondere quella cicatrice sotto l’orecchio. Anche camicie, per mascherarla meglio. Dubbi sulla sua personalità ci assalgono, uno dopo l’altro, ma al contrario degli altri qui rimaniamo senza parole con cui descriverlo, senza aggettivi, senza nulla tra le mani al quale aggrapparci.
Comincia il tempo delle metafore e dell’insegnamento. Svolta a destra.
E non c’è più.
Abbiamo appreso i molteplici casi del perdersi, dell’abbandonarsi su di una strada, sia questa quella della vita, si questa quella che separa casa nostra dal fido lavoro di cui non possiamo fare a meno.
Come un borchia persa da una autovettura in corsa, noi abbiamo lasciato su questa strada qualcosa che forse non ritroveremo più.
Abbiamo acquisito altro, ma sicuramente lo scambio su cui abbiamo puntato all’inizio del nostro viaggio scopriremo solo tra qualche anno, o mai, se sarà stato fruttuoso, oppure no.
Era la nostra città e ora è nient’altro che dubbi ed incertezze. Dobbiamo aggrapparci alle zampe di un piccione per poter volare via e vedere dall’alto ciò che prima era nostro e ora è di chissà chi.
Rispettiamo i luoghi che abbiamo affrontato nel percorso, li soppesiamo con l’esperienza acquisita e cosa ci rimane?
Domande, solo domande ed un fiume in piena che porta via tutto e viaggia per le strade di questa nostra città come fossero affluenti di un solo ed un unico torrente.
Nascono dalle montagne e finiscono in mare.
Speriamo anche noi di poter dire la nostra in questa esperienza che c’ha reso più consci di quanto sia facile abbandonare una via per gioco, scommettere su quel cavallo vincente che mai nessuno ha deluso e rimaner noi per primi delusi da questa immonda sicurezza.
Perché non scordiamoci che esiste gente che quel cavallo ha continuato a giocarlo più e più volte, finché ha ceduto tutto all’abbandono e si è perso come solo gli ignari di questa verità possono fare.
Il gioco è finito.
La vita va avanti.
Luca Martelli, Andrea Martelli, Andrea Matera
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